Turandot, Liù e Puccini. Quando il teatro si mescola alla vita privata

Turandot, Liù e Puccini. Quando il teatro si mescola alla vita privata

Il teatro, si sa, nasce da un conflitto. Insomma sempre da un confronto tra personaggi, d’altra parte un po’ come la vita, in cui si scorge movimento e tonicità dalla diversità (cogliamo l’occasione per ricordarlo in questo periodo storico dove prolifera chi necessita di monolitiche visioni, di certo rassicuranti per coloro che non hanno un’identità e preferiscono non averla).

Oggi volevo quindi dare onore al tenerissimo personaggio di Liù della Turandot (da pronunciare con la T, ché non è francese ma cinese. Grazie), che si erge nella sua splendida e luminosa dignità al cospetto della glaciale Principessa Turandot ed anzi nel corso dell’opera la fronteggia, fino ad esserle pari se non superiore in bellezza d’animo nell’aria ‘Tu che di gel sei cinta’.

Anzi, in supremo sacrificio d’Amore, praticamente le ‘consegna’ il Principe Calaf di cui è innamorata e serva fedele. Alle sue parole la gelida Principessa Turandot (vittima di un trauma psicologico che la tiene in ostaggio di questa sua anaffettività…di più non dico, per non sciupare troppo la sorpresa a quelli di voi che non conoscono quest’opera possente di Puccini) addirittura ha un moto di risveglio di sentimenti. Da questo possiamo comprendere la forza di Liù, che non è la viola mammola che a volte viene resa (le è simile il destino, a volte ingrato, di Micaela in ‘Carmen’).

Vi è in questo umile personaggio una levatura d’animo altissima, pari al sacrificio totale che fa di se stessa (infatti morirà dopo aver messo l’amore per Calaf nelle mani della Principessa). La storia vuole che dopo questa aria Puccini stesso sia morto, nel 1924, consumato da un male che non gli consentirà di terminare quest’opera. Celebre l’episodio della prima rappresentazione nel 1926 in cui Toscanini, giunto all’ultima pagina completata dall’autore, si rivolse al pubblico, con queste parole: «Qui termina la rappresentazione perché a questo punto il Maestro è morto.»

Ma veniamo alla genesi di Liù.

Puccini era tormentato dal ricordo della servetta di casa Dora Manfredi, che si era suicidata a causa delle persecutorie accuse della gelosissima moglie di Puccini. Dora morì tra lancinanti dolori dovuti all’assunzione di svariate pastiglie di sublimato corrosivo (la sostanza comunemente usata per pulire i bagni). La donna fa una sola richiesta: che dopo la morte le venga praticata l’autopsia da un ginecologo, che la troverà vergine facendo cadere così le accuse della gelosissima Elvira, moglie del Maestro, la quale era convinta di vedere in Dora l’amante segreta del suo Giacomo. Per questo verrà processata e condannata: istigazione al suicidio. Ma non la scontò  mai grazie all’intervento in denaro sonante (diecimila lire) elargito da Puccini stesso per insabbiare la cosa.

Venne poi ritrovata, decenni dopo, in un baule nella cantina di Antonio Manfredi (figlio di Giulia Manfredi, cugina della povera Dora suicida) la corrispondenza in cui si evince che Giulia era la vera amante di Puccini e che per anni e anni usò Dora come messaggera d’amore. La vera amante sempre fedele, morì nel 1966, non si era mai sposata e questo figlio di padre ignoto nacque nel 1923, quando Puccini era ancora in vita…

Per cui sublimò Dora (come a chiederle perdono) nel personaggio di Liù e sua moglie Elvira nella Principessa Turandot, mescolando completamente teatro e vita, che davvero sono indissolubilmente congiunti

Ecco a voi due delle arie di Liù, di cui possiamo sentire e quindi comprendere pienamente la tenerezza e la vulnerabilità grazie alla morbidissima stupenda voce di Anna Moffo

Laura De Santis

 

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