Stanger Things 3: 5 consigli psicologici dal “Sottosopra”

Stanger Things 3: 5 consigli psicologici dal “Sottosopra”

E’ recentemente uscita la terza stagione di Stranger Things su Netflix. La serie che strizza l’occhio ai nostalgici degli anni ’80 e di Dungeons & Dragons, ma non solo. Questa terza stagione ci lascia delle riflessioni in merito a temi vari, dall’adolescenza all’essere genitori, che meritano di essere sottolineati.

Se nelle prime stagioni le citazioni mi erano sembrate a volte delle forzature, questa volta vengono inserite in modo consapevole e più maturo. Numerose sono le citazioni registiche che richiamano le pellicole cult di quegli anni. Ma lasciamo queste discussioni ai fan e veniamo a cosa mi ha colpito della serie.

In primis sicuramente la scelta narrativa di sviluppare parallelamente le storie per lo più corali dei personaggi divisi in gruppi: ogni gruppetto ha una propria missione e dei cattivi da sconfiggere che inevitabilmente si intrecciano con lo sviluppo individuale dei singoli protagonisti. Qui il peso di Eleven si fa sentire meno e la responsabilità della serie è ridistribuita, anche se quest’ultima rimane l’elemento decisivo e l’asso nella manica nello scontro contro il Sottosopra.

Ma veniamo al come sono state gestite alcune nuove dinamiche e situazioni createsi dopo la fine della seconda stagione e quali suggerimenti possiamo trarne.

Il confronto rende l’essere genitori meno difficile

I protagonisti sono ormai adolescenti e i genitori si ritrovano a dover affrontare questa nuova fase della vita. Gli equilibri familiari cambiano e bisogna trovare nuove regole per ristabilire l’equilibrio. A soffrire della perdita dell’infanzia e di quella ingenuità non sono solo i ragazzi, ma anche i genitori. E’ il caso di Hopper che fa i conti con la relazione tra El e Mike.

Per alcuni genitori, come Hopper, il passaggio può essere difficile da gestire, per altri, come Joyce che l’ha già affrontato con il figlio maggiore, questa nuova sfida da fronteggiare risulta “naturale” e intuitiva. Viene da sé che Joyce sarà un sostegno e una guida per Hopper in questo difficile momento.

Come gestire il confronto? Joyce suggerirà di aprire il proprio cuore parlando di sentimenti ed emozioni.

Non esiste un modo giusto di crescere

Se nella passata stagione, Will combatteva le conseguenze del trauma vissuto in un sofferto tentativo di tornare alla normalità, nella terza stagione il suo personaggio ha un obiettivo diverso: trovare se stesso. Inizialmente cerca di ricreare le stesse abitudini, i giochi e le uscite con gli amici, ma si accorge ben presto che intorno a lui le priorità degli amici sono cambiate. Il crescere comporta un cambiamento e Will vuole fermare questo processo cercando di recuperare il tempo perso, ma purtroppo il processo è già in atto e non può fermarlo dal momento in cui si accorge di non condividere più gli stessi interessi dei suoi amici.

Will, così come ognuno di noi, vive il processo di maturità e cambiamento con i propri tempi e in modo diverso. La società ci ha dato delle tappe in cui comunemente tali cambiamenti dovrebbero avvenire e dei riti per celebrare l’avvenuto cambiamento, ma quello che è un cambiamento solo esteriore non corrisponde necessariamente ad un cambiamento psicologico. Will ancora non è pronto, la crescita non può essere affrettata ma bisogna rispettarne i tempi.

L’importanza delle amicizie al femminile

Se nella prima parte vediamo totalmente assorbita El da Mike, nella seconda vediamo nascere una nuova amicizia, tutta al femminile, tra Max e El. Uno dei momenti che ho trovato più carini della serie: la scoperta dell’amicizia al femminile. Eleven non è più da sola in un momento per lei nuovo e difficile. E’ proprio in questa occasione che sperimenta il supporto di un’amica che l’aiuta a scoprire cosa le piace e cosa no, può finalmente scoprire se stessa e provare il piacere delle confidenze e delle risate scambiate con una ragazza che sa ascoltarla e capirla.

L’autenticità è contagiosa

Un’altra bella amicizia è quella nata sul finire della seconda stagione tra Steve e Dustin. I due sembrano essere così diversi e lontani tra loro, e non solo per l’età. Eppure guardandoli da vicino i due sono molto più simili di quanto si possa credere. Oltre ad avere in comune l’ironia e la capacità di far fronte alle difficoltà con le proprie risorse, essi si completano a vicenda. Si aiutano e si consigliano reciprocamente sulle aree di competenza dove l’altro è più carente e più fragile.

Steve e Dustin si capiscono e si sostengono e insieme a Robin, con la quale formano il gruppetto degli “incompresi”, possono essere veramente se stessi. La loro autenticità è così contagiosa che anche Erica ne è preda. Nel ritrovarsi all’interno di questo gruppo, per lei strampalato, di nerd, scopre se stessa e la sua vera natura. Ebbene sì! Tutte le evidenze vanno a favore dell’ipotesi di Dustin: anche Erica è in fondo una nerd! E non deve nascondere questa sua identità, ma anzi nutrirla. Grazie all’incontro con questo gruppo e all’esperienza vissuta, quella parte di lei finora nascosta può finalmente esprimersi senza paura di essere giudicata e criticata per questo.

La vergogna può trascinarci nel “Sottosopra”

Uno degli elementi che mi ha maggiormente incuriosita e attratta di Stranger Things è sicuramente il Sottosopra. Questo mondo oscuro, una dimensione parallela dove tutto è freddo e vivono i “mostri”, che vuole entrare nella nostra realtà e impossessarsene. La mia mente professionalmente attratta da tutto ciò che può richiamare significati simbolici più profondi quali riflesso del nostro mondo interiore e del nostro vissuto, ha subito notato un parallelismo. Nella prima stagione questo era più evidente: i personaggi catturati dal Demogorgone erano coloro che in quel momento erano i più fragili e vulnerabili, come se il Sottosopra non sia altro che un regno depressivo dove a dominare su di noi siano i mostri.

Ed ecco che in questa terza stagione ritorna un po’ questa idea: il sopravvento di una forma di “oscurità” dentro di noi è possibile quando si è emotivamente fragili. Per fragilità emotiva non intendo l’essere tristi o trovarsi in quel range di emozioni negative, perché questo fa parte della vita normale, ma intendo l’incapacità di conoscere e gestire le proprie emozioni, una sorta di immaturità emotiva che ci rende incapaci di vivere l’ampio spettro di emozioni umane che normalmente si alternano nella vita quotidiana. Far fronte alle proprie emozioni, e di conseguenza alle situazioni che accendono quelle emozioni senza soccombere e lasciarsi travolgere dallo tsunami emotivo, è una competenza che va acquisita con il tempo ed un tassello fondamentale dell’Intelligenza Emotiva.

Ora, uno dei personaggi “catturati” dal Mind Flyer, il mostro da sconfiggere della terza stagione, è Billy. Ammirato e temuto allo stesso tempo, Bill in realtà è un ragazzo solitario. Quando Eleven entra nel sottosopra e trova Bill riusciamo a vederlo per quello che realmente è: un ragazzo insicuro e spaventato che ha creato una corazza per proteggersi dal suo passato. Emozioni che lo tengono bloccato.

Secondo Brené Brown, “la vergogna corrode la parte di noi che crede di poter cambiare”

Solo quando Eleven si immedesima e si connette con il suo passato e con la sofferenza che lo isola e lo divora, Bill potrà trovare il coraggio di uscire dall’oscurità che l’ha divorato e affrontare il Mostro.

Come spiega Slavoj Zizek, l’elemento horror si presenta quando un’esperienza traumatica molto forte ha spezzato la realtà. Così il mostro non è altro che la rappresentazione di difese psichiche molto violente che accorrono in difesa del mondo interno dell’individuo. Allo stesso modo il Mind Flyer può prendere il sopravvento, mentre Bill è assente.

Solo Eleven che l’ha realmente visto e toccato con mano quella parte fragile e vulnerabile può aiutarlo a vincere il giogo del Mostro che lo tiene prigioniero.

Alessandra Notaro

 

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