SanPa, i motivi per cui non perdere questa serie!

SanPa, i motivi per cui non perdere questa serie!

SanPa, la nuova docuserie Netflix, ha riacceso le luci su una vicenda e una tematica trascurate da anni. Riapre la possibilità di una riflessione più ampia, sulle dipendenze, il trattamento e il ruolo dello Stato e della società. Per evitare che gli errori del passato non si ripetano.

L’idea per questo pezzo è nata quasi per caso da una conversazione su whattsapp.
Si parlava di serie viste di recente e così ho raccontato che nonostante il tempo libero ridotto ero riuscita a finire in pochi giorni SanPa.
SanPa è una docuserie realizzata per Netflix Italia e rilasciata da pochissime settimane, tutte trascorse mantenendosi nella top ten dei più visti.

Il primato è tutto meritato.
Gli autori Gianluca Neri, Carlo Gabardini, Paolo Bernardelli e la regista Cosima Spender hanno fatto un lavoro di grande qualità, che ha riacceso le luci su una vicenda e una tematica trascurate da anni.

SanPa sta per San Patrignano, un comunità di recupero per ragazzi dipendenti dall’eroina, nata dall’idea di Vincenzo Muccioli.
Osannata da una parte, osteggiata dall’altra, è innegabile che la comunità abbia salvato delle vita. Allo stesso modo è chiaro che si sono evolute delle dinamiche di potere estremamente complesse, gettando ombre sul metodo e sul suo fondatore.

La vicenda di SanPa, grazie all’attenzione e alla cura con cui è stata raccontata, è uno specchio dell’Italia che è stata.
L’arco narrativo procede dalla fine degli anni 70, quando viene fondata la comunità, fino alla metà degli anni 90, con morte di Muccioli stesso.


L’eroina in Italia arriva in un contesto molto particolare, quello della fine dei cosiddetti anni di piombo, nel quale i movimenti giovanili e dalla proteste di piazza dominano la scena sociale.
Giovani che fino a poco tempo prima avevano accesso a sostanze molto più leggere, hanno visto arrivare fiumi di eroina a basso costo, facilmente reperibile e in grado di cancellare la noia e la bruttura della realtà. Ma nessuno li aveva preparati alle conseguenze.
E nessuno se ne è fatto carico.

Sono gli anni della legge Basaglia e di numerosi altri provvedimenti legislativi che hanno promosso un miglioramento notevole nel campo dei diritti civili.
Questo, però, non ha interessato il trattamento di disturbi da uso di sostanze.


Lo Stato è rimasto fermo.
Non ci sono stati interventi immediati e nemmeno capacità di informazione.
Il trattamento multidisciplinare, terapeutico e scientifico delle dipendenze è arrivato solo dopo molto tempo.

Di tale immobilismo e ignoranza si sono pagati costi salatissimi.
Compreso all’interno delle comunità terapeutiche stesse.
Molte, tra cui SanPa almeno nei primi anni di attività, hanno peccato decidendo di affidarsi per molto tempo alla buona volontà di pochi piuttosto che alle evidenze scientifiche.


Se è vero che in molti hanno riscoperto il valore della propria esistenza, dall’altro si è assistito a due problematiche estremamente complesse e verso le quali vale la pena dedicare una riflessione.


Una, molto chiara nelle serie, è la tendenza a sostituire la dipendenza dalla sostanza con la dipendenza dalla vita della comunità stessa.
E questo ci pone nella situazione di domandarci cosa sia la dipendenza, cosa sia la libertà e l’indipendenza, come intervenire.


L’altra è la tendenza è quella di assumere una visione della persona, che è dipendente dalla sostanza, criminalizzata o romanticizzata.
Nel primo caso è un individuo da controllare, nell’altro un’anima sventurata che necessità di amore.
Sono visioni semplicistiche e che a lungo andare non sono utili, ma limitanti.
Sono modo che circoscrivono la complessità dell’individuo ad uno stereotipo, probabilmente alimentando la situazione di dipendenza di cui sopra.

Gli stereotipi non alimentano la dignità umana e nemmeno la libertà e la volontà.

Nel tempo quasi tutte le comunità hanno fatto quel passo avanti, grazie a cui ci si è aperti ad un approccio più ampio.
Ci si è aperti alla possibilità di supporti scientificamente provati, con il contributo di psichiatri e psicoterapeuti, nonché attraverso la ricerca.
Oggi SanPa è una comunità all’avanguardia, ma per arrivare al risultato è stato necessario ripensarsi.

Parlare di comunità terapeutiche riapre la possibilità di una riflessione più ampia, che comprende tematiche come la salute mentale, la depenalizzazione, la necessità della presenza di un’adeguata struttura di welfare.
Riflessioni che non devono solo riguardare noi adulti, ma anche i ragazzi, chi sta in fase di crescita e si sta affacciando al mondo dei grandi.
Io consiglio di vederle in famiglia, in modo consapevole e accompagnandolo ad una riflessione condivisa.

Lo scorso anno, in Italia, ci sono state delle morti per overdose.
Non siamo nella situazione di emergenza degli anni di SanPa, ma sicuramente è un uso che sta tornando a crescere tra i giovanissimi.
L’errore principale del passato è stato l’ignoranza, il credere che la sola buona volontà basti. Non ripetiamolo anche adesso.

Valentina Freni

 

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