Noi, ragazzi dello zoo di Berlino, 40 anni dopo

Noi, ragazzi dello zoo di Berlino, 40 anni dopo

A quarant’anni dalla sua pubblicazione “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” è una lettura importante per comprendere in modo universale, a prescindere dal momento storico e dalla collocazione geografica, la dipendenza e soprattutto chi la vive.

Lo scorso 24 Settembre, L’Espresso ha pubblicato un’inchiesta intitolata “Colla, coca, eroina: in Italia l’emergenza droga comincia ad 8 anni”.
Questa inchiesta descrive la realtà della tossicodipendenza tra i minori in Italia, ponendo molta enfasi sull’aumento dei casi e sulla necessità di strutture adeguate per tutelare questi ragazzi.
A fine articolo, poi, vengono riportate le interviste fatte ad alcuni minori in comunità recupero.

Le parole degli intervistati, quel tipo di frasi e di riflessioni, non mi sono nuove.
Spinta da questa lettura, ho ripreso un libro che lessi nella mia adolescenza, Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” di Christian F.

Il libro nasce dalle trascrizioni di una lunga intervista rilasciata da Christiane F., 15enne di Berlino, ai giornalisti della rivista Stern, in merito a un processo per detenzione di eroina.
Infatti Christiane, a partire dai 12 anni, ha iniziato ad utilizzare stupefacenti (prima hashish, efedrina) passando poi, dai 14 anni, a una vera e propria dipendenza da eroina, che la porterà a doversi prostituire alla fermata della metro dello zoo di Berlino, piazza di spaccio e prostituzione.



Dalla pubblicazione di “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino”, sono passati 40 anni (prima edizione tedesca nel 1978) e 37 anni dal film di successo tratto dal libro,  e dopo aver letto l’inchiesta de L’Espresso, mi sono ritrovata a chiedermi se fosse ancora attuale leggerlo, o come sostengono in molti sia una realtà compassata, ferma ai duri anni 70’/80’.

La risposta che mi sono data è che, per me, è ancora attuale.
Perché?
Non è un libro che nasce con un valore pedagogico, non vuole inculcare una morale, ma  “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” è nato per raccontare una storia.

 

La vera Christiane F.


Questo libro rivela la realtà nuda e cruda, vissuta da una ragazzina dipendente dall’eroina, senza giudizi, senza esaltazioni, ma con l’urgenza di dovere di condividere.
Attraverso il racconto di Christiane, intravediamo quello che era il suo mondo, ma tralasciando l’epoca, la città, possiamo scorgere l’universalità del fenomeno.
La visone del mondo, il racconto di quanto accadeva è quello della Berlino Ovest di metà anni 70’, ma potrebbe essere Roma negli  anni 80, potrebbe essere Parigi nel 2018: le origini, le fragilità, la solitudine, il senso di potenza prima e i fallimenti dopo, sono gli stessi che un ragazzino in quella condizione può sperimentare in una qualsiasi città occidentale dagli anni 70 ad oggi.


Il libro non è nato per ammonire e fare da maestro, ma non per questo chi lo legge non svilupparne un proprio significato profondo.
Da adulti, avendo molta più esperienza, viene più semplice, ma da adolescenti è più complesso.
Io lessi l’opera di Christiane F. da adolescente, mi piacque molto non fui molto in grado aggiungere questo significato, probabilmente perché vedevo solo il semplice racconto di vita di una ragazza.

Rileggerlo adesso, alla soglia dei 30 anni, ha significato fare i conti anche un trambusto interiore e dargli un significato, senza giudizi e senza condanna.

Christiane F. interpretata da Natja Brunckhorst

Si, vale la pena leggerlo ancora, 40 anni dopo la sua pubblicazione.
Vale la pena far leggere “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” agli adolescenti di oggi, ma accompagnandoli nella lettura, rendendosi disponibili alle domande e al confronto.
Ovvero offrendo una guida alla lettura.


Christiane racconta ai suoi intervistatori “Non ci capivo più niente. Non sapevo perché andavo al Sound, non sapevo perché prendevo la droga, non sapevo cosa avrei potuto fare altrimenti, non sapevo assolutamente nulla”.

Raccontare una storia, pura e veritiera, come è accaduta, è un’occasione per comprendere chi l’ha vissuta.
Una storia come questa è la possibilità di una comprensione universale di un fenomeno doloroso che non conosce confini di spazio e di tempo.

E al contrario di quanto affermava l’antropologo Zygmunt Bauman, dalla comprensione nasce la capacità di gestire, la capacità di non aver paura.

 

Valentina Freni

 

 



 

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