“Questo poeta mente…”: Montale e il correlativo oggettivo dell’immortalità

“Questo poeta mente…”: Montale e il correlativo oggettivo dell’immortalità

Quando sento allievi lamentarsi dell’analisi grammaticale e logica o del solfeggio, ovvero quindi di tutto quello che riguarda la ‘struttura’ di una frase letteraria o musicale, sorrido.

Perché ripenso che in fondo nessuno ha fatto una festa quando doveva studiare questi argomenti  ma che sono una splendida ossatura del necessario all’immersione nella letteratura o nella musica. Il correlativo oggettivo fa parte in qualche modo di questa ‘famiglia’ di studi grammaticali ma è la sua portata simbolica è, in qualche modo, assolutamente più smisurata.

E’ infatti un concetto poetico elaborato nel 1919 da Thomas Stearns Eliot, che lo definì così: “una serie di oggetti, una situazione, una catena di eventi pronta a trasformarsi nella formula di un’emozione particolare”. E’ Eugenio Montale a definire in maniera somma il suo uso, specialmente nella sua raccolta Ossi di seppia”, il cui titolo stesso è un correlativo oggettivo: gli ossi di seppia abbandonati su una spiaggia assolata evocano sensazioni di morte, macerie abbandonate dalle profondità marine. Il correlativo oggettivo ha un significato che non viene esposto direttamente dall’autore, che allo stesso tempo però conferisce alle immagini un significato universale. Da questo concetto, dunque, prende vita l’Ermetismo, movimento letterario di cui Montale, con Ungaretti, fu caposcuola.

La Poesia di cui vi invito a fare esperienza oggi (perché la Poesia è questo: farsi attraversare dalle immagini che ci arrivano dal suo ritmo, dalle sue sonorità) ha il suo correlativo oggettivo nelle forbici, che sono lo scorrere del tempo. E’ l’implorazione che noi stessi facciamo ai ricordi di restare nostri compagni vivi, culla in cui tenere coloro che abbiamo amato, in un correlativo oggettivo che li renda immortali invincibili.

Non recidere, forbice, quel volto,

solo nella memoria che si sfolla,

non far del grande suo viso in ascolto

la mia nebbia di sempre.

Un freddo cala… Duro il colpo svetta.

E l’acacia ferita da sé scrolla

il guscio di cicala

nella prima belletta di Novembre.

Laura De Santis

 

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